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L'Aquila: La Basilica di S. Maria di Collemaggio
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Posta fuori alle antiche mura della città, la Basilica di S. Maria di Collemaggio è il monumento più significativo dell'architettura abruzzese. Iniziata nel 1287, per volontà del futuro papa Celestino V, presenta una stupenda facciata in forme romanico-gotiche e coronamento orizzontale, rivestita da un elegante paramento di conci bianchi e rosa disposti a disegni geometrici. Dei tre portali a tutto sesto, quello centrale ha una strombatura riccamente decorata e poggiante su stipiti ornati da due ordini di nicchie a cuspide, che racchiudono piccole statue di sunti. I battenti in legno sono del 1688.
Al di sopra dei 3 portali i 3 rosoni, dei quali, quello mediano, più grande, è maggiormente lavorato a traforo.
A destra della facciata, il poderoso torrione ottagonale, destinato probabilmente alle benedizioni all'aperto. Ogni anno, il 28 agosto, dal suo terrazzo vengono mostrate al popolo le reliquie di Celestino V.
L'interno della chiesa, dopo il recente restauro degli anni `70, oggetto di aspre polemiche, ha ripreso la primitiva veste, eccetto che nel transetto. Distrutte le aggiunte barocche, sono tornati alla luce alcuni pregiati affreschi del `300, `400 e `500.
L'impianto è a tre navate, spartite da archi a sesto acuto, poggianti su pilastri ottagoni, la copertura in legno è a vista.


Il pavimento, originale, è a pietre bianche e rosse, ed è lastricato, qua e là, da pietre tombali. Tredici tele di Frà Andrea (C. Ruther) del XVII secolo raffigurano episodi della vita di Celestino V. Oltre il transetto barocco, le tre absidi, in quella di destra, il Sepolcro di S. Pietro Celestino, opera firmata e dotata Girolamo da Vicenza, 1517: all'interno un'urna di legno dorato racchiude le reliquie di S. Pietro Angelerio, detto del Morrone, nato ad Isernia, ed eletto papa in Collemaggio il 29 agosto del 1294, col nome di Celestino V. Il suo pontificato durò solo cinque mesi, perché abdicò, ritornando al suo eremitaggio sul monte Morrone. Dante nella Divina Commedia lo ricorda come colui che "fece per viltà il gran rifiuto" (Canto III dell'Inferno).