Roma - Villa Ada


Il primo nucleo della Villa, situato lungo la via Salaria, via Panama - via della Moschea - via Petrolini - via del Foro Italico, fu acquistato dalla famiglia Savoia nel 1872 per farne la residenza ufficiale e fu progressivamente ampliato con l'acquisizione di altre tenute limitrofe fino a costituire un parco di ben 180 ettari dal carattere prevalentemente rurale con la sola eccezione della parte di proprietà dei Potenziani, situata lungo la via Salaria che già aveva l'aspetto di una villa nobiliare e di villa Pallavicini.

L'assetto della Villa Potenziani risaliva ad un'epoca precedente al periodo compreso tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento quando apparteneva al principe Luigi Pallavicini: nella planimetria del Catasto Gregoriano del 1818 già appare evidente la sistemazione a giardino dell'area attorno al casino nobile e si individua nettamente la presenza del "coffee-house", tipica costruzione di gusto neoclassico.Inoltre una testimonianza di Francesco Bettini, architetto paesaggista, risalente agli anni 1790-1793, attribuisce la costruzione del "coffee-house" all'architetto francese Achille Houbert e alla sua consulenza la sistemazione a roccaglia dei viali e del lago.

L'acquisto da parte del re Vittorio Emanuele di Savoia segnò l'immediato avvio di un vasto intervento di ampliamento e di sistemazione del parco e di costruzione di nuovi edifici.

In tempi brevissimi furono infatti costruiti il Casino nobile, oggi sede dell'Ambasciata della Repubblica Araba d'Egitto, le scuderie ed altri edifici minori destinati ad accogliere la famiglia reale e la corte.

Nel volgere di pochi anni la Villa aveva assunto un aspetto maestoso: edifici paludati, quali la residenza reale ed il casino Pallavicini, si affiancavano alle rustiche ma monumentali scuderie ed ai numerosi casali settecenteschi opportunamente restaurati, il tutto immerso in un vastissimo parco che alternava preziosi giardini all'italiana a tenute boschive adatte alla caccia.

I lavori si erano appena conclusi, quando alla morte di Vittorio Emanuele II, il figlio Umberto I vendette la Villa al conte di origine svizzera Tellfner, che la ribattezzò con il nome della moglie, Ada, denominazione rimasta tutt'ora popolare.

Il conte ebbe la Villa solo fino al 1904, quando il figlio del re Umberto Vittorio Emanuele III, riacquistò la Villa destinandola nuovamente a residenza reale.

Questi passaggi di proprietà, dei quali peraltro è irreperibile la documentazione, suscitano numerosi sospetti e non appaiono affatto chiari: Vittorio Emanuele II aveva speso per la Villa oltre due milioni e mezzo di lire mentre la vendita a Tellfner fu per sole cinquecentomila lire e questi la cedette a Vittorio Emanuele III, quasi un trentennio più tardi, alla medesima cifra.

La questione meriterebbe un'indagine approfondita che chiarisca anche il ruolo di Tellfner, potente amministratore, insieme a Bernardo Tanlongo dei beni reali e con questi coinvolto nello scandalo della Banca romana.

 La settecentesca Villa Pallavicini comprendeva il casino nobile, i due lunghi corpi di fabbrica lungo la via Salaria, denominati la Tribuna, il coffee-house detto anche Tempio di Flora in quanto ispirato alla tipologia dei templi classici.

Dopo l'acquisto da parte della casa Savoia vennero edificati la residenza reale e una torre gotica a mascherare un serbatoio, mentre alcuni edifici rurali preesistenti vennero ampliati e trasformati per realizzare le scuderie ed una "capanna svizzera".

Il palazzo reale, una squadrata costruzione di due piani sormontata da due torrette, fu edificato in tempi brevissimi, come attesta l'iscrizione con la data 1873 presente sul soffitto della scala decorata con trofei di caccia.

E' un fabbricato a pianta quadrangolare, con al centro un cortile coperto a vetri. Sulla facciata posteriore il prospetto è mosso da due torrette laterali, mentre l'ingresso principale ha un piccolo pronao con due coppie di colonne ed un coronamento ad attico dalle linee spezzate.

Il lato nord ha un analogo atrio dal quale, mediante una lunga rampa di scale, si scende al bellissimo giardino all'italiana ed alla grande peschiera.

Accanto al Palazzo vi è la curiosa Torre gotica, elegante edificio di stile neomedioevale con bifore e beccatelli costruito da Emilio Richter per ospitare e mascherare un serbatoio per l'acqua, sul modello delle fabbriche esotiche dei giardini all'inglese.

Le scuderie, in origine refettorio per i monaci del Collegio irlandese proprietario dell'area, furono costruite sotto la direzione di Emilio Richter che mascherò il carattere funzionale della fabbrica, come aveva fatto anche per la Torre gotica, con una abbondanza di elementi decorativi che conferiscono al tutto un carattere monumentale. Le facciate sono infatti decorate da teste di cavallo a stucco, da colossali stemmi della casa Savoia e da cornici marcapiano.

Numerosi sono gli edifici minori disseminati nel parco, alcuni di pregevole valenza architettonica quale il casale delle cavalle madri, di probabile origine rinascimentale, o la "capanna svizzera", oggi quasi completamente distrutta, ma probabilmente elemento di quella sistemazione di fine Ottocento che nei parchi all'inglese prevedeva costruzioni di questo genere.

Il giardino formale della Villa Pallavicini, consistente in alcuni viali regolari nei pressi del casino nobile, è rimasto quasi inalterato nel tempo, mentre, quando Emilio Richter fu nominato da Vittorio Emanuele II direttore dei parchi reali, tutta la vasta tenuta fu trasformata in un grandioso parco all’inglese.

Richter riferisce infatti di aver fatto eseguire, tra il 1872 ed il 1878, movimenti di terra per ben 25 mila metri cubi, di aver realizzato due grandi laghi, di avervi collocato non meno di centomila piante diverse e di aver allestito due grandi serre per essenze esotiche.

Nel parco vi erano anche due "vogliere", cioè uccelliere per esemplari esotici; curiosamente questo elemento di arredo dei parchi è presente un po' in tutte le ville abitate dai Savoia, a Roma come a Napoli e a Firenze.

Il parco, al termine dei lavori del Richter, era articolato su quattro colli: il colle del roccolo (dove probabilmente si faceva questo tipo di caccia), il colle dei finanzieri, il colle delle cavalle madri e monte antenne.

Probabilmente risale ai primi decenni di questo secolo la sistemazione dei giardini all'’italiana posti in direzione del prospetto nord del palazzo reale. Infatti non appaiono nelle piante di Roma precedenti e si sa con certezza che intorno al 1925 dei bellissimi giardini all'’italiana furono fatti realizzare nella Villa Polissena limitrofa residenza di Mafalda, figlia del re, maritata con Filippo d'Assia, appassionato cultore di giardini.

Gli arredi della Villa, in considerazione del carattere preminente all’inglese, sono relativamente pochi, rispetto alla considerevole estensione.

Il più interessante è senz'altro il "coffee-house" settecentesco, a forma di tempio classico, aperto su un lago rustico con al centro una fontana in ghisa sicuramente ottocentesca e forse frutto di un rimaneggiamento in chiave romantica del luogo. Nel parco si trovano due grandi laghi rustici, oggi prosciugati, ma dei quali sono riconoscibili le sponde a scogliera rustica.

Il giardino all'italiana è decorato da una grande peschiera, da una fontana-ninfeo e da numerose statue disseminate tra le aiuole.

BUNKER

Il rifugio antiaereo, realizzato realisticamente intorno agli anni 1940-1942, quando il timore di incursioni aeree sulla Capitale iniziò a farsi più concreto, era adibito ad uso esclusivo della famiglia Reale.

La principale particolarità del bunker, grazie a questa caratteristica, era quella di poter accogliere al suo interno delle autovetture. La distanza dalla residenza obbligava infatti a raggiungerlo non certamente a piedi, operazione assai rischiosa durante un allarme aereo. Un breve spostamento in auto, dirigendo prima  verso nord, lasciandosi alla destra le scuderie, e scendendo poi in direzione ovest  per una stradina a tornanti, permetteva di arrivarvi in non più di 2-3 minuti.

La struttura, che si sviluppa totalmente in sotterraneo per più di 200 m2, ha una forma più o meno circolare. L’accesso al rifugio avveniva immettendosi in una corta galleria a doppia curva: ci si trovava quindi di fronte ad un massiccio portone a due battenti, l’ingresso carrabile al rifugio. Le due ante, ancora al loro posto, pesano circa 1.200 Kg l’una e furono realizzate colando del cemento all’interno della porta in ferro, spessa 20cm. Sulla sinistra una porta blindata dava accesso ad una prima stanza e poi, attraverso una porta antigas, ad una seconda stanza, il vero cuore del bunker: si tratta di una camera ad alta pressione sul modello tedesco, dotata di un efficace sistema di filtri per la depurazione e il ricambio dell’aria e di un sistema autonomo che permetteva, anche in assenza di energia elettrica o di malfunzionamento dei motori, di poter garantire il funzionamento dell’ impianto di aerazione e filtraggio grazie ad un sistema azionato da propulsione umana, tramite energia cinetica creata pedalando su una sorta di “bicicletta”. Questi impianti venivano identificati come “elettroventilatori a pedaliere”. 

Completano il rifugio 2 bagni, un’anticamera e 2 ambienti di servizio.

In tutti gli ambienti stupiscono la cura con cui fu realizzato e gli evidenti richiami, sia nell’uso dei materiali che in alcuni particolari, all'architettura razionalista tipica dell’epoca.

Indirizzo
Via Salaria, 267, 273/275 Roma RM