L'ermetismo




L’ermetismo non un vero e proprio movimento letterario del Novecento, ma un atteggiamento assunto da un gruppo di poeti che adottavano un nuovo modo di fare poetica, più oscuro, più chiuso e, quindi, definito ermetico.

Il termine "ermetismo" deriva dal dio greco Ermes (Mercurio, per i romani), il dio delle scienze occulte, e venne usato per la prima volta dal critico letterario Francesco Flora nel 1936 per rappresentare questa espressione poetica con valore dispregiativo per la sua difficile interpretazione per via di un linguaggio considerato ambiguo e misterioso.

Col tempo l'ermetismo ha acquisito popolarità fino ad essere usato per indicare la più prestigiosa corrente della poesia italiana nel periodo fra le due guerre mondiali.

Si è sviluppato a partire dall'opera di Giuseppe Ungaretti, che ne è considerato il precursore con la sua seconda raccolta intitolata Sentimento del tempo, e la sua crescita è proseguita negli anni '30, soprattutto a Firenze e, in parte, anche nel secondo dopoguerra. I poeti ermetici più rappresentativi, oltre a Giuseppe Ungaretti, sono stati Salvatore Quasimodo ed Eugenio Montale.

Anzi, proprio durante il ventennio fascista, una poesia chiusa e “in codice” come quella ermetica, permise ad alcuni intellettuali di esprimere in modi indiretti –e destinati a pochi lettori- la propria polemica o la propria indifferenza nei confronti del regime fascista.

Così poterono evitare di compromettersi con il potere politico e con il fascismo e di chiudersi nel proprio mondo a meditare sull’esistenza e sul destino dell’uomo.

Le origini del movimento sono da ricercare nella polemica, all’inizio di questo secolo, tra le riviste letterarie fiorentine La voce e Lacerba; si riallaccia inoltre ai tentativi del Mallarmè di raggiungere un’espressione lirica, il cui valore consistesse principalmente nella purezza del verso, e agli insegnamenti di Paul Valery.

Iniziatore del movimento è generalmente considerato Arturo Onori, ma la prima raccolta di poesie ermetiche è Il porto sepolto di Ungaretti, 1916.

Questa raccolta si riallaccia ad una parte della mistica romantica, e precisamente alla solitudine dell’artista e dell’uomo, alla sua impossibilità di comunicare con gli altri.

Proseguendo sulla strada aperta dai crepuscolari, i poeti ermetici non solo ripudiano la retorica nazionalistica, storica e sensuale, ma hanno anche perso quella fiducia nel mondo tipica del XIX secolo.

In questo essi sono un prodotto della loro epoca.

La grande guerra aveva distrutto quella fiducia nell’uomo e nel mondo tipica della concezione positivistica, di modo che come in filosofia con il risorgere della scuola esistenzialista l’uomo cerca la verità entro se stesso, così in letteratura il poeta si chiude in un suo mondo personale.

Per l’ermetismo il mondo è un ambiente ostile, una oscura minaccia incombe sulla vita umana, essa è precaria (poesie di guerra dell’Ungaretti) e, cosa molto più tremenda, solitaria.

Ognuno è chiuso in un suo mondo interiore e non vi è possibilità di comunicazione tra la propria sfera di sentimenti e quella altrui.

La poetica della crisi raggiunge il massimo nel periodo tra le due guerre.

Vengono fissati i punti chiave di questa nuova poesia che è essenzialmente lirica.

Ai poeti ermetici non interessa la chiarezza, tanto nessuno potrà mai capire quello che il poeta ha voluto veramente esprimere; la poesia è intesa come atto puro, e ha valore solo in quanto riesce ad esprimere nella sua immediata purezza e spontaneità l’originaria intuizione lirica, senza alcuna pretesa di comunicabilità, senza preoccupazioni tecniche o metriche.