Roma - Villa Medici


Situata a due passi dalla Trinità dei Monti è, come questa chiesa, caratterizzata da una facciata con due torrette.

Alla metà del Cinquecento vi sorgeva la vigna del cardinale Marcello Crescenzi, che decise di ingrandire e abbellire il primitivo edificio a pianta quadrangolare con un cortile interno per farlo diventare un palazzo in grado di competere con le dimore signorili dell'epoca.

Per raggiungere il suo scopo si affidò all'architetto fiorentino Nanni Lippi( Nanni di Baccio Bigio), ma, alla morte del cardinale, i lavori furono sospesi.

Quando, nel 1564, la proprietà fu acquistata da Giulio e Giovanni Ricci, nipoti del cardinale Ricci da Montepulciano, il progetto venne ripreso e affidato al figlio di Nani, Annibale. C'è chi sostiene che al progetto abbia dato il suo contributo anche Michelangelo.

Soltanto nel 1576 la villa fu venduta al cardinale Ferdinando de' Medici, che chiamò a completare i lavori Bartolomeo Ammannati, dando così inizio al periodo del suo maggior splendore.

La facciata che dà sulla strada, opera del Lippi, con una base leggermente a scarpata, è piuttosto severa e priva di ornamenti, animata solo dal ritmo regolare delle finestre e dei due belvederi.

La facciata che si affaccia sui giardini è stata disegnata dall'Ammannati e presenta una fastosa decorazione entro linee classiche.

Al centro di essa vi è un armonioso portico, con le aperture laterali architravate e quella centrale ad arco, cui si accede da una doppia scalinata. Le pareti esterne sono tutte ornate da innumerevoli bassorilievi e statue d'età romana.

La moda di incastonare frammenti antichi nelle facciate, diffusasi a Roma alla fine del Cinquecento, era dettata dal desiderio di creare una sorta di museo all'aperto che trovava la sua ideale prosecuzione nel giardino, dove dominavano statue a tutto tondo e sarcofagi, ed era favorita e alimentata dai rinvenimenti che avvenivano nelle proprietà signorili, frutto di scavi fortuiti più che di ricerche sistematiche.

Delle torrette che coronano la parte superiore dell'edificio, una era presente fin dalla prima fase costruttiva, mentre la seconda, quella verso Trinità dei Monti, è stata aggiunta dall'Ammannati dopo aver rielaborata l'altra e averle congiunte con un terrazzo al quale si addossa il tetto che ricopre tre sale.

La loggia dei leoni, al centro della facciata posteriore, è decorata anch'essa all'interno da sculture entro nicchie e ha un'impronta fiorentina o "medicea" dovuta all'Ammannati, che nei due leoni si è evidentemente ispirato a quelli della loggia dei Lanzi, mentre il Mercurio che orna la fontanina di fronte è una copia di quello del Giambologna conservato a Firenze.

L'elegante complesso, dal quale si accede ad un vasto piazzale ornato da geometriche siepi do bosso, aiuole, statue e sedili di pietra, può essere considerato il limite o meglio il punto d'unione tra l'architettura dell'interno e lo spazio arboreo esterno.

L'Ammannati, autore anche della splendida loggia col ninfeo di Villa Giulia, aveva certo ben presente la funzione di questo elemento architettonico, e cioè luogo di refrigerio o sala da pranzo estiva, così come l'aveva teoricamente definita il Palladio nei suoi Quattro libri dell'architettura.

Entrando nella villa dal portone principale si incontra un vasto vestibolo, alla cui destra si apre un lungo ambiente, chiamato un tempo "rimessone", perché destinato ad accogliere le carrozze, ora trasformato per ospitare mostre d'arte.

Sempre dal vestibolo si sale per uno scalone, dove è collocata una statua settecentesca di Luigi XIV (fondatore dell'Accademia di Francia), che, dividendosi in due rampe, conduce ai mezzanini e da qui due scale a chiocciola portano al piano nobile che, data la pendenza del terreno su cui sorge la costruzione, corrisponde al pianterreno dall'altro lato.

Qui vi è l'altissimo salone, decorato attualmente con arazzi, che, essendo in comunicazione con la loggia dei leoni, fungeva originariamente da sala per spettacoli che avessero il giardino come sfondo.

Il piano nobile doveva essere presumibilmente tutto decorato, ma le pitture sono andate distrutte, forse nell'incendio del 1698. Ai piani superiori si conservano invece delle sale dipinte da Jacopo Zucchi per i Medici e altre risalenti alla fase dei lavori commissionati dai Ricci di Montepulciano.

Sulla destra del piazzale antistante l'edificio si aprono i giardini, ricchi di statue e sarcofagi utilizzati come fontane o sistemati con ordine sullo sfondo di viali, delimitati da alte siepi rettilinee che dividono lo spazio in aiuole quadrate, dove si ergono imponenti pini. In una di queste aiuole sono collocate le copie, da originali ellenistici appartenuti ai Medici, del gruppo di Niobe e dei suoi figli. Sono state eseguite da borsisti dell'Accademia.

La possibilità di utilizzare l'Acqua Vergine di San Sebastianello, facendola salire fino a cinquanta metri di altezza, diede modo a Camillo Agrippa, specialista in giochi d'acqua, di dare nei giardini un saggio della sua bravura.

Su un bordo del parco, verso il Muro Torto, è situato il piccolo padiglione, adibito a studiolo, di Ferdinando de' Medici, dove recentemente sono venuti alla luce gli affreschi della volta eseguiti da Jacopo Zucchi, raffiguranti una sorta di voliera.

La villa divenne sotto i Medici il luogo più elegante di Roma e la sede degli ambasciatori fiorentini alla Corte Vaticana, oltre ad essere rinomata per gli splenditi conviti che vi si tenevano. Vi soggiornarono, tra gli altri, Maria de' Medici, il Velàsquez e il Galilei durante il periodo del suo processo.

Un aneddoto curioso vuole che le tre palle visibili un tempo sulla porta (una è ora sistemata nella fontana di fronte all'ingresso) non avessero niente a che fare con lo stemma mediceo, ma fossero invece delle palle di cannone sparate da Castel Sant'Angelo dalla regina Cristina di Svezia, che aveva promesso al padrone di casa di svegliarlo per la caccia.

Altri miglioramenti furono apportati sotto il cardinale Alessandro Ottaviano de' Medici, che acquistò sculture di notevole valore. Tra queste la più celebrata era la Venere dei Medici.

Ma Alessandro, divenuto papa col nome di Leone XI, pensò che era ormai poco opportuno per lui tenere la statua e la mandò perciò a Firenze. In seguito fu inviata in Francia da Napoleone e solo dopo la sua caduta tornò a Firenze.

Nel 1737 si estinse la famiglia Medici e come il Granducato di Toscana passò ai Lorena altrettanto avvenne della villa. Questi però non manifestarono per questa grande interesse, tanto che solo nel 1769 il granduca Pietro Leopoldo I si recò a visitarla e infine, nel 1787, preferirono offrirla in vendita dopo aver portato a Firenze le sue opere d'arte. Non si trovò però nessun compratore.

Dopo le vicende connesse alla Rivoluzione Francese (nel 1793 venne incendiato palazzo Mancini al Corso, allora sede dell'Accademia Reale di Francia) e all'occupazione di Roma, Napoleone, nel 1804, prese possesso della villa e ne fece la sede della nuova Accademia di Francia, destinata ad ospitare molti dei suoi artisti e a divenire uno dei luoghi prediletti dagli stranieri. Tra i suoi direttori più celebri si ricordano il grande pittore Ingres e l'architetto Balthus.

Nel 1849, nella villa trovarono rifugio i cittadini francesi di Roma e subì qualche danno in occasione degli scontri che segnarono la fine della Repubblica Romana.

Nel 1914, dalla sua terrazza, d'Annunzio incitò l'Italia a intervenire, a fianco della Francia, nella prima guerra mondiale.

In questi ultimi anni all'Accademia si deve la valorizzazione del complesso come sede di prestigiose manifestazioni e mostre artistiche che mantengono vivo l'impegno di diffondere la cultura d'oltralpe nella nostra città.

Indirizzo
Viale della Trinità dei Monti, 1, 00187 Roma RM